Il tempo si è fermato ad Alvito, piccolo borgo medievale a cavallo tra Lazio e Abruzzo nel quale camminare in una storia secolare, respirare il fascino dei tempi passati e regalarsi giornate nella natura, senza dimenticare soste golose all’insegna delle tradizioni gastronomiche della Ciociaria. La conoscenza di Alvito parte dall’imponente fortezza che veglia sulla valle: affonda le sue radici nell’XI secolo ma è stata ricostruita nel XIV secolo per volere della famiglia Cantelmo, da cui risale l’appellativo di castello Cantelmo. Nelle belle giornate è un piacere salire a piedi alla rocca, a 475 metri circa di altezza, seguendo il viottolo lastricato con scorci sulle cime circostanti e sulla Valle del Comino. E poi, da qui, percorrere il giro delle mura, entrare nei cortili, esplorare i camminamenti e ammirare le torri di guardia, lasciando correre l’immaginazione alle vicende che hanno visto come protagonista questo lembo di terra che domina l’accesso a nord della Valle del Comino, una posizione strategica per l’Italia centrale.
Secondo una leggenda, San Bernardino da Siena, preso a sassate dagli abitanti del borgo nel 1443, predisse loro che non avrebbero mai portato niente a termine. Il piccolo borgo e i suoi edifici storici, veri e propri gioielli artistici custodi delle epoche passate, invece, dimostrano ogni giorno il contrario. È intrigante passeggiare fra gli stretti vicoli e le ripide scalinate di Alvito e ripercorrere le vicende che si sono succedute nel corso dei secoli in questo minuscolo borgo laziale per poi scoprirne, nei nomi dei palazzi nobiliari, i protagonisti. Merita una tappa il palazzo Ducale, voluto dal cardinale Tolomeo Gallio agli inizi del XVII secolo: è sede del teatro comunale - nell’ex teatrino di corte - e del municipio di Alvito, nel quale spiccano l’atrio monumentale, la scalinata d’onore, gli episodi della “Gerusalemme Liberata” presenti nella camera del duca e la sala del consiglio decorata con fregi e affreschi della scuola di Luca Giordano.
Al centro della Valle del Comino e immerso nel Parco Nazionale dell’Abruzzo, Alvito è punto di partenza ideale per esplorare il territorio. Da qui partono ben 110 chilometri di tracciati da percorrere in mountain bike, a cavallo, a piedi o, magari, con le ciaspole quando la neve copre i sentieri del parco e il ghiaccio cesella seducenti architetture tra i rami degli alberi. Si va dagli itinerari di montagna a quelli collinari fra le vigne del Cabernet Atina Doc, dalle passeggiate alla scoperta delle doline - in particolare della Fossa Maiura, una sorta di cono rovesciato e profondo cento metri - alle visite storico-artistiche fra le quali una che si snoda fra le 15 fontane del territorio. Lasciandosi guidare dai sensi, si scoprono il profumo delle erbe selvatiche di montagna, il gusto del pecorino Dop, del torrone inserito tra i Pat - prodotti agroalimentari tradizionali - e dei tartufi, mentre dalla rocca del borgo lo sguardo cattura il panorama e dai boschi circostanti arrivano i suoni degli animali selvatici. Ma è l’immaginazione, il sesto senso, quello che veste di suggestione ogni itinerario e rende Alvito un borgo speciale.
A Cortignale e La Cappudine, antiche contrade nei dintorni di Alvito, la lancetta dell’orologio torna indietro nel tempo, lasciando intravvedere gli usi e i costumi dei secoli passati. Non sempre i casolari di questi antichi borghi appaiono evidenti a uno sguardo superficiale. A volte occorre cercare con attenzione nella vegetazione, tra i cespugli e le siepi cresciuti nel corso degli anni per individuare mura, magazzini e locali adibiti alla spremitura delle olive o dell’uva. E ne vale la pena. I due borghi fantasma regalano infatti la sensazione di un viaggio indietro nel tempo: lasciando “parlare” le antiche mura, emerge il racconto della vita quotidiana agro-pastorale che si è svolta, per secoli, nelle comunità rurali.
Le origini di Alvito risalgono, probabilmente, a volsci e sanniti che hanno preceduto la “romanizzazione” dell’area del III secolo a.C. Ma è a partire dall’età di mezzo, intorno all’anno Mille, che il borgo inizia a crescere, su impulso dei monaci della vicina Montecassino, e a svilupparsi sui tre livelli tipici del modello della città-fortezza: in alto il borgo medievale raccolto intorno alla rocca e alle chiese di Santa Maria in Porta Coeli e di Santa Maria Assunta, quest’ultima custode al suo interno della cripta di San Rocco. A mezza costa ecco il Peschio, punteggiato da edifici nobiliari come Palazzo Panicali al Peschio con le sue torri colombaie e il portone d’ingresso incorniciato da un bugnato a punta di diamante e, infine, il borgo proteso fino a valle, impreziosito da edifici e chiese di epoca barocca. Con il trascorrere dei secoli il borgo, feudo del Regno di Napoli e coinvolto nel conflitto tra aragonesi e angioini, divenne prima contea con i signori d’Aquino e poi un ducato con i Gallio, casata a cui è attribuito il merito di avere estirpato il brigantaggio.