Neive, quattro alfieri per una torre. Un borgo di storia e di storie, mosaico di barbari e gens romana, Longobardi e Savoia, Saraceni e benedettini, signorie e liberi comuni. È questo Neive, cittadina che guarda alla prima collina del Monferrato dall’ultima Langa del Moscato, a unire idealmente bellezza a bellezza. E a suscitare appetiti e gelosie, se è vero che il borgo è stato terra di contesa nei secoli a più livelli: tra gli imperi d’Europa così come tra le vicine città di Asti e Alba. Siamo nel cuneese, in uno dei Borghi più belli d’Italia, che ancora oggi conserva il suo impianto medievale pur avendo perso fin dal Trecento – proprio a causa delle dispute tra astigiani e albesi - il suo castello. Il cuore del borgo è oggi in piazza Italia, con il bianco del Palazzo del Municipio a governare lo spazio e la città. Intorno è tutto un dedalo di strade e tetti rossi, e archi e lesene sull’impianto dell’antico ricetto, stretto tra le mura a difendere le vite e le viti. Sì, perché dall’alto lo sguardo si perde nell’intorno del borgo, tra vigne nobili di grande pregio e altrettanto grandi cantine a custodirne il frutto, lungo i sentieri del Dolcetto e del Barbaresco.
Il simbolo incontrastato di Neive è la “Torre dell’Orologio” che – perso precocemente il suo castello, ha continuato nei secoli a svettare sul borgo, coi suoi venti metri di altezza, e a dividere Ripa Sorita e Ripa Fredda, i due versanti della collina e dell’abitato. Più volte rimaneggiata, questa costruzione duecentesca è stata anche torre civica e torre campanaria: oggi, appena restaurata, rende evidente sulle sue facciate il trascorrere dei millenni. L’interno è invece cavo e si apre sulla loggia con una finestra in ogni direzione. L’ingresso è a terra dal lato a nord, mentre l’interno è occupato da un’unica scala in ferro con 89 gradini che permettono di raggiungere la loggia panoramica. A circa cinque metri d’altezza, la Torre ospita anche una lapide funeraria di origine romana dedicata a Valeria Terza dal marito Caio Aelio. Più in alto, sempre sulla stessa facciata, l’orologio pubblico che le dà il nome, installato a fine Ottocento.
La dimora più antica del borgo è casa Cotto, casa-forte fatta di soffitti di pregio e caminetti d’epoca. Spiccano tra gli edifici sacri le due cappelle cinquecentesche dedicate a San Rocco e a San Sebastiano. La prima, in particolare, con portico e campanile, è situata appena fuori le mura meridionali, davanti all’arco che costituiva una delle due porte d’accesso al paese. La cappella fu ristrutturata nel 1783 ma conserva la parte centrale originale. E poi ci sono le aziende vinicole, tra le quali quella settecentesca dei Conti di Castelborgo, tra decorazioni e arredi d’epoca. L’ingresso al suo giardino, racchiuso entro le mura meridionali del paese, è opera dell’architetto Giovanni Antonio Borgese, autore anche dell’arciconfraternita di San Michele, anch’essa settecentesca e a navata unica con alta cupola centrale. Notevole anche la torre del Monastero (secolo X), in stile Romanico a pianta quadrata: è tutto ciò che resta dell’antico monastero benedettino di Santa Maria del Piano e si incontra sulla strada per Mango.
Neive è la terra dei quattro vini, e tutta l’enogastronomia del borgo ne è permeata. Moscato, Dolcetto, Barbaresco e Barbera sono i quattro alfieri del buon bere, con la grande cucina piemontese a far loro da corona: il Moscato, qui, è sempre stato considerato il vitigno della festa e delle occasioni conviviali, mentre il Dolcetto è il vino dell’amicizia, da bere a pieni bicchieri con il cuore in mano. E se il Barbaresco è il vino forse più intimamente vicino all’anima di questo luogo, il Barbera è invece quello della piemontesità, rude e testardo, forte e caparbio. Anche la gastronomia si muove tra eccellenze famose in tutto il mondo: bagna cauda, tajarin al tartufo, carne cruda all’albese, coniglio al civèt, torta di nocciole di questa Langa. E poi il fritto misto alla piemontese e la fonduta con tartufo bianco. Il vino ritorna anche nel salame, di gusto dolce e profumato al Barbaresco, ricavato dagli allevamenti di suini sparsi sul territorio, e nel delicato zabaione arricchito con il Moscato.
Di Gianluca Miserendino