Ogni zona d’Italia è speciale. Perché ciascun angolo del nostro Paese sa tenere mirabilmente insieme storia e natura, monumentalità e sapienza artigiana, buona tavola e cultura, tradizione e lungimiranza. Ma pochi territori sanno portare alle vette assolute ciascuna di queste muse del vivere come quello di Salerno. Una città, e una provincia, fatta di 158 comuni che sposano il giallo del sole e quello dei limoni, il profumo di eternità dei templi e quello goloso di fichi, vino e alici, la potenza della pietra bianca e la fragilità della carta fatta a mano, le forme antiche delle ceramiche e quelle fashion della moda mare. E il territorio di Salerno offre tutto ciò a chi arriva qui, tra la Costiera e il Cilento, il Vallo di Diano e la Piana del Sele. In questa terra tra il mare e il fiume – perché questo significa Salerno – sempre in bilico felice tra la bellezza accecante e l’operosità degli uomini. Dalla “A” di Amalfi alla “V” di Vietri sul Mare, l’alfabeto dell’incanto sta tutto qui.
È uno dei borghi più famosi del mondo, da sempre celebrato per il suo modo di essere una cosa sola con il mare tra grotte, torri e strade puntate verso il cielo. È Positano, perla della Costiera Amalfitana celebre per le sue scalinate e le sue case bianche, i suoi vicoli e i suoi giardini terrazzati, il suo Sentiero degli Dei e le sue altrettanto divine spiagge, su tutte Marina Grande, Laurito e Fornillo. Il borgo, tutt’intorno alla grandiosa cattedrale di Santa Maria Assunta, ha però anche un’altra grande attrattiva, frutto di secoli di tradizione. È infatti da una lunga storia di artigianato che è nata quella che i fashion addicted celebrano dal dopoguerra come la “Moda mare Positano”, riconversione della sapienza già dimostrata qui nell’Ottocento coi pannicelli di iuta e con la canapa. E se il mito della Positano che veste l’estate nasce con sandali e bikini, oggi circa cinquanta imprese producono un vastissimo assortimento di abbigliamento di gran pregio, per il mare e per le serate sotto il cielo stellato del borgo delle scale.
E poi c’è la Costiera. Senza bisogno di aggettivi al seguito. È quella Amalfitana, che nella gloriosa Repubblica Marinara trova nome e capitale, per di più color giallo limone. Molto più che un frutto, il limone è infatti vera e propria carta d’identità di questi luoghi. Ma non un limone qualsiasi, bensì il “Limone Costa d’Amalfi”, con tanto di Indicazione Geografica Protetta a garantire che sia prodotto secondo le regole fissate dal disciplinare di produzione e con metodi tradizionali. Portato in Campania dagli Arabi, il limone sfusato (così chiamato per la sua bella forma affusolata) è già da allora un’icona dell’Italia nel mondo, così come il prezioso e fruttatissimo limoncello che la maestria artigiana sa trarne. È così che ancora oggi i terrazzamenti della Costiera Amalfitana, strappati alle montagne con opere di alto ingegno – da Amalfi a Cetara, passando per Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti e Vietri sul Mare - portano in tutto il mondo il frutto della “fatica” e della passione per l’eccellenza.
Ma Amalfi non finisce soltanto con il giallo dei suoi limoni. Né con il meraviglioso Arsenale, o il caratteristico rione Vagliendola, o la storica regata. E neppure con la grandiosità del suo celebre duomo, lassù, in cima ai 62 scalini, dedicato a S. Andrea Apostolo e cattedrale Arcivescovile. A impreziosire la storia della Repubblica Marinara c’è infatti un’altra antica, gloriosa tradizione: è quella della “Carta a mano” di Amalfi, un prodotto millenario ancor oggi celebre in tutto il mondo. La carta prodotta con questa tecnica, la “bambagina”, è arrivata al Ventunesimo secolo dritta dal Dodicesimo, ed è stata nei secoli utilizzata da re, papi, imperatori, corti e nobiluomini. Ancora oggi la Carta di Amalfi è usata per la corrispondenza del Vaticano, per occasioni importanti e per la pubblicazione di opere letterarie. La cartiera in attività più famosa è quella degli Amatruda, mentre la famiglia Milano ha riconvertito l’azienda nel locale Museo della Carta, che offre la magia di sperimentare le antiche tecniche di produzione.
È invece figlio dei monti verdi e bianchi del Cilento il borgo di Padula, immerso nel Vallo di Diano, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Capolavoro incontrastato del luogo è la certosa di San Lorenzo, tra le più importanti d’Europa e fulgido esempio del barocco italiano. Il complesso trecentesco conta ben 350 stanze, tre chiostri, un giardino, un cortile e una chiesa. Meraviglioso il chiostro della Foresteria, uno dei più grandi d’Europa, con portico, fontana del Seicento e loggiato, dove svetta la torre dell’orologio. Si prosegue con la biblioteca e con le ricche sale: delle Campane, del Capitolo, del Tesoro. Legata a doppio filo alla Certosa è anche uno dei più preziosi materiali della zona, a tutt’oggi lavorata nelle aziende della zona: parliamo della pietra bianca di Padula, che fa bella mostra di sé nella Certosa e perpetua la fiorente tradizione della scuola degli scalpellini padulesi, già apprezzata nei secoli scorsi e che oggi, evoluta in arte dell’intarsio a livello internazionale, splende anche nei mosaici policromi.
È la punta estrema della Costiera Amalfitana, quella che guarda fiera verso sud. Ed è al contempo uno dei luoghi più ricchi di storia di questo territorio, con radici che si perdono nei miti di Giasone e degli Argonauti. Ma Vietri sul Mare è soprattutto il luogo del colore. Quello delle sue spiagge assolate e dell’Oasi del WWF di Parco Croce, certo. Ma soprattutto quello delle sue strade, che da ogni angolo raccontano l’arte della ceramica dipinta a mano che dà lustro a questo borgo antico. Una ceramica, quella di Vietri, che adorna anche il più bello dei suoi edifici, la chiesa di San Giovanni Battista, con il campanile e la cupola di maioliche colorate. Il paese ospita anche due musei a tema: quello Artistico Industriale di Ceramica Manuel Cargaleiro e quello Provinciale della Ceramica. Un’arte vera e propria, quella della ceramica vietrese, nata nel Quattrocento e arrivata fino a noi, con le botteghe tra le strette vie del borgo a dare spettacolo nello spettacolo. Con colori e forme di tutti i tipi, compresi i celeberrimi asinelli, divenuti il simbolo di ceramica di questo lembo di sud.
Racconta i mestieri del mare fin dal suo nome, Cetara, erede com’è delle cetarie-tonnare e dei mercanti del pescato. Un luogo marinaio nel più profondo dei sensi, arroccato su un’insenatura e stretto tra il porto e la torre Vicereale che, costruita nel XVI secolo, ancora oggi si erge sulla spiaggia della marina. E se ogni luogo di mare è anche luogo di fede, Cetara lo spiega con le sue mille chiese. A partire da quella barocca di San Pietro Apostolo, risalente al IX secolo e impreziosita dalla cupola ricoperta da maioliche. E ancora, la chiesa e il convento di San Francesco, entrambi risalenti al Trecento, e l’ottocentesca chiesa della Madonna di Costantinopoli. Il prodotto di punta di questo borgo di pescatori è senz’altro la colatura di alici, ricavata dal processo di maturazione dei piccoli pesci azzurri e risalente al garum degli antichi Romani. A Cetara si pesca infatti il miglior pesce azzurro della Costiera, che viene trasformato in questa deliziosa salsa dalle molte aziende locali e poi impiegato nei piatti tipici locali, così come il tonno, pescato al largo dalle famose tonnare di Cetara.
La magnificenza dei templi e il gusto della mozzarella di bufala. L’accostamento ha un solo nome possibile, ed è quello che tiene insieme Paestum e la Piana del Sele. L’antica Poseidonia offre uno dei più incredibili viaggi nel tempo al mondo, con i resti dell’antica città greca conservati in maniera a dir poco perfetta, tra la Basilica e i templi di Atena e Nettuno. Paestum, ancor oggi, è in grado di incantare i suoi moltissimi visitatori con i reperti conservati nel Museo Archeologico, l’agorà, il foro, le terme, le fontane e l’anfiteatro. Altrettanta meraviglia, in altro senso, è in grado di suscitare la mozzarella di bufala di questo territorio. La Piana del Sele ospita infatti da secoli mandrie di bufale, che un tempo pascolavano tra le rovine antiche e che poi hanno trovato casa nelle bufalare, caratteristiche costruzioni circolari in muratura e con un camino centrale intorno al quale prende ancor oggi vita uno dei prodotti più iconici dell’intero Stivale. E che, dagli anni Novanta, ha dato vita a un vero e proprio comparto di grande spessore economico tra Battipaglia, Eboli, Altavilla Silentina, Serre, Albanella e Capaccio.
La Costiera Amalfitana e il Cilento condividono una straordinaria offerta in termini di paesaggi, itinerari e bellezza. Ma a unirli c’è anche un’arte antica e preziosa: quella del vino. A livelli di eccellenza. Entrambi i territori hanno infatti una grande tradizione enologica, tanto da ottenere la Denominazione di Origine Controllata. E così, la Doc Costa d’Amalfi comprende i vini prodotti sui terrazzamenti a picco sulle scogliere, a partire dal rosso basato su Aglianico e Piedirosso, cui si unisce lo Sciascinoso. Ci sono poi i rosati, e il bianco, composto principalmente da Falanghina e Biancolella. Anche la Cilento Doc comprende vini rossi, bianchi e rosati, oltre a un Aglianico in purezza. Il rosso – anch’esso prodotto con uve Aglianico e Piedirosso – prevede anche eventuali parti di Primitivo e di Barbera. I rosati sostituiscono l’Aglianico con il Sangiovese, mentre il bianco del Cilento è prevalentemente di varietà Fiano, conosciuta localmente come Santa Sofia, cui si aggiungono il Trebbiano, il Greco Bianco e la Malvasia Bianca.
A quaranta chilometri da Paestum sorge l’altra “cartolina dall’eternità” che rende straordinario il territorio del Cilento. Parliamo di Velia, Elea per i greci, gioiello archeologico del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. I resti di questa antica città – dominati dalla celebre Porta Rosa - si trovano nel territorio di Ascea Marina, e regalano l’emozione di camminare tra le strade in cui passeggiarono Parmenide, Zenone e Melisso. E non è difficile immaginare questi giganti del pensiero filosofare assaggiando uno dei fichi bianchi che qui trovano dimora fin dal IV secolo a.C. Oggi questo delizioso prodotto della terra e del lavoro degli uomini – celebre per la sua polpa pastosa, il colore giallo ambrato e la spiccata dolcezza - è tutelato dalla Dop del “Fico bianco del Cilento”. Il frutto, che deve la sua unicità all’azione mitigatrice del mare, alla barriera degli Appennini e alla fertilità del suolo - è prodotto in 68 comuni a sud di Salerno, dalle colline litoranee di Agropoli fino al Bussento, in gran parte inclusi nell’area del Parco.
Di Gianluca Miserendino