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e-borghi travel 40, Speciale folclore e street food: Provincia di Salerno: centocinquantotto modi di dire incanto

Ogni zona d’Italia è speciale. Perché ciascun angolo del nostro Paese sa tenere mirabilmente insieme storia e natura, monumentalità e sapienza artigiana, buona tavola e cultura, tradizione e lungimiranza. Ma pochi territori sanno portare alle vette assolute ciascuna di queste muse del vivere come quello di Salerno. Una città, e una provincia, fatta di 158 comuni che sposano il giallo del sole e quello dei limoni, il profumo di eternità dei templi e quello goloso di fichi, vino e alici, la potenza della pietra bianca e la fragilità della carta fatta a mano, le forme antiche delle ceramiche e quelle fashion della moda mare. E il territorio di Salerno offre tutto ciò a chi arriva qui, tra la Costiera e il Cilento, il Vallo di Diano e la Piana del Sele. In questa terra tra il mare e il fiume – perché questo significa Salerno – sempre in bilico felice tra la bellezza accecante e l’operosità degli uomini. Dalla “A” di Amalfi alla “V” di Vietri sul Mare, l’alfabeto dell’incanto sta tutto qui.

Positano, cattedrale della moda

È uno dei borghi più famosi del mondo, da sempre celebrato per il suo modo di essere una cosa sola con il mare tra grotte, torri e strade puntate verso il cielo. È Positano, perla della Costiera Amalfitana celebre per le sue scalinate e le sue case bianche, i suoi vicoli e i suoi giardini terrazzati, il suo Sentiero degli Dei e le sue altrettanto divine spiagge, su tutte Marina Grande, Laurito e Fornillo. Il borgo, tutt’intorno alla grandiosa cattedrale di Santa Maria Assunta, ha però anche un’altra grande attrattiva, frutto di secoli di tradizione. È infatti da una lunga storia di artigianato che è nata quella che i fashion addicted celebrano dal dopoguerra come la “Moda mare Positano”, riconversione della sapienza già dimostrata qui nell’Ottocento coi pannicelli di iuta e con la canapa. E se il mito della Positano che veste l’estate nasce con sandali e bikini, oggi circa cinquanta imprese producono un vastissimo assortimento di abbigliamento di gran pregio, per il mare e per le serate sotto il cielo stellato del borgo delle scale.

Splendore giallo limone

E poi c’è la Costiera. Senza bisogno di aggettivi al seguito. È quella Amalfitana, che nella gloriosa Repubblica Marinara trova nome e capitale, per di più color giallo limone. Molto più che un frutto, il limone è infatti vera e propria carta d’identità di questi luoghi. Ma non un limone qualsiasi, bensì il “Limone Costa d’Amalfi”, con tanto di Indicazione Geografica Protetta a garantire che sia prodotto secondo le regole fissate dal disciplinare di produzione e con metodi tradizionali. Portato in Campania dagli Arabi, il limone sfusato (così chiamato per la sua bella forma affusolata) è già da allora un’icona dell’Italia nel mondo, così come il prezioso e fruttatissimo limoncello che la maestria artigiana sa trarne. È così che ancora oggi i terrazzamenti della Costiera Amalfitana, strappati alle montagne con opere di alto ingegno – da Amalfi a Cetara, passando per Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti e Vietri sul Mare - portano in tutto il mondo il frutto della “fatica” e della passione per l’eccellenza.

Amalfi, bellezza su carta

Ma Amalfi non finisce soltanto con il giallo dei suoi limoni. Né con il meraviglioso Arsenale, o il caratteristico rione Vagliendola, o la storica regata. E neppure con la grandiosità del suo celebre duomo, lassù, in cima ai 62 scalini, dedicato a S. Andrea Apostolo e cattedrale Arcivescovile. A impreziosire la storia della Repubblica Marinara c’è infatti un’altra antica, gloriosa tradizione: è quella della “Carta a mano” di Amalfi, un prodotto millenario ancor oggi celebre in tutto il mondo. La carta prodotta con questa tecnica, la “bambagina”, è arrivata al Ventunesimo secolo dritta dal Dodicesimo, ed è stata nei secoli utilizzata da re, papi, imperatori, corti e nobiluomini. Ancora oggi la Carta di Amalfi è usata per la corrispondenza del Vaticano, per occasioni importanti e per la pubblicazione di opere letterarie. La cartiera in attività più famosa è quella degli Amatruda, mentre la famiglia Milano ha riconvertito l’azienda nel locale Museo della Carta, che offre la magia di sperimentare le antiche tecniche di produzione.

Padula, pietra che si fa Certosa

È invece figlio dei monti verdi e bianchi del Cilento il borgo di Padula, immerso nel Vallo di Diano, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Capolavoro incontrastato del luogo è la certosa di San Lorenzo, tra le più importanti d’Europa e fulgido esempio del barocco italiano. Il complesso trecentesco conta ben 350 stanze, tre chiostri, un giardino, un cortile e una chiesa. Meraviglioso il chiostro della Foresteria, uno dei più grandi d’Europa, con portico, fontana del Seicento e loggiato, dove svetta la torre dell’orologio. Si prosegue con la biblioteca e con le ricche sale: delle Campane, del Capitolo, del Tesoro. Legata a doppio filo alla Certosa è anche uno dei più preziosi materiali della zona, a tutt’oggi lavorata nelle aziende della zona: parliamo della pietra bianca di Padula, che fa bella mostra di sé nella Certosa e perpetua la fiorente tradizione della scuola degli scalpellini padulesi, già apprezzata nei secoli scorsi e che oggi, evoluta in arte dell’intarsio a livello internazionale, splende anche nei mosaici policromi.

Vietri sul Mare, il regno della ceramica

È la punta estrema della Costiera Amalfitana, quella che guarda fiera verso sud. Ed è al contempo uno dei luoghi più ricchi di storia di questo territorio, con radici che si perdono nei miti di Giasone e degli Argonauti. Ma Vietri sul Mare è soprattutto il luogo del colore. Quello delle sue spiagge assolate e dell’Oasi del WWF di Parco Croce, certo. Ma soprattutto quello delle sue strade, che da ogni angolo raccontano l’arte della ceramica dipinta a mano che dà lustro a questo borgo antico. Una ceramica, quella di Vietri, che adorna anche il più bello dei suoi edifici, la chiesa di San Giovanni Battista, con il campanile e la cupola di maioliche colorate. Il paese ospita anche due musei a tema: quello Artistico Industriale di Ceramica Manuel Cargaleiro e quello Provinciale della Ceramica. Un’arte vera e propria, quella della ceramica vietrese, nata nel Quattrocento e arrivata fino a noi, con le botteghe tra le strette vie del borgo a dare spettacolo nello spettacolo. Con colori e forme di tutti i tipi, compresi i celeberrimi asinelli, divenuti il simbolo di ceramica di questo lembo di sud.

Cetara, tra la torre e il mare

Racconta i mestieri del mare fin dal suo nome, Cetara, erede com’è delle cetarie-tonnare e dei mercanti del pescato. Un luogo marinaio nel più profondo dei sensi, arroccato su un’insenatura e stretto tra il porto e la torre Vicereale che, costruita nel XVI secolo, ancora oggi si erge sulla spiaggia della marina. E se ogni luogo di mare è anche luogo di fede, Cetara lo spiega con le sue mille chiese. A partire da quella barocca di San Pietro Apostolo, risalente al IX secolo e impreziosita dalla cupola ricoperta da maioliche. E ancora, la chiesa e il convento di San Francesco, entrambi risalenti al Trecento, e l’ottocentesca chiesa della Madonna di Costantinopoli. Il prodotto di punta di questo borgo di pescatori è senz’altro la colatura di alici, ricavata dal processo di maturazione dei piccoli pesci azzurri e risalente al garum degli antichi Romani. A Cetara si pesca infatti il miglior pesce azzurro della Costiera, che viene trasformato in questa deliziosa salsa dalle molte aziende locali e poi impiegato nei piatti tipici locali, così come il tonno, pescato al largo dalle famose tonnare di Cetara.

Templi, Dei e mozzarella: benvenuti a Paestum

La magnificenza dei templi e il gusto della mozzarella di bufala. L’accostamento ha un solo nome possibile, ed è quello che tiene insieme Paestum e la Piana del Sele. L’antica Poseidonia offre uno dei più incredibili viaggi nel tempo al mondo, con i resti dell’antica città greca conservati in maniera a dir poco perfetta, tra la Basilica e i templi di Atena e Nettuno. Paestum, ancor oggi, è in grado di incantare i suoi moltissimi visitatori con i reperti conservati nel Museo Archeologico, l’agorà, il foro, le terme, le fontane e l’anfiteatro. Altrettanta meraviglia, in altro senso, è in grado di suscitare la mozzarella di bufala di questo territorio. La Piana del Sele ospita infatti da secoli mandrie di bufale, che un tempo pascolavano tra le rovine antiche e che poi hanno trovato casa nelle bufalare, caratteristiche costruzioni circolari in muratura e con un camino centrale intorno al quale prende ancor oggi vita uno dei prodotti più iconici dell’intero Stivale. E che, dagli anni Novanta, ha dato vita a un vero e proprio comparto di grande spessore economico tra Battipaglia, Eboli, Altavilla Silentina, Serre, Albanella e Capaccio.

Due territori nel nome del vino

La Costiera Amalfitana e il Cilento condividono una straordinaria offerta in termini di paesaggi, itinerari e bellezza. Ma a unirli c’è anche un’arte antica e preziosa: quella del vino. A livelli di eccellenza. Entrambi i territori hanno infatti una grande tradizione enologica, tanto da ottenere la Denominazione di Origine Controllata. E così, la Doc Costa d’Amalfi comprende i vini prodotti sui terrazzamenti a picco sulle scogliere, a partire dal rosso basato su Aglianico e Piedirosso, cui si unisce lo Sciascinoso. Ci sono poi i rosati, e il bianco, composto principalmente da Falanghina e Biancolella. Anche la Cilento Doc comprende vini rossi, bianchi e rosati, oltre a un Aglianico in purezza. Il rosso – anch’esso prodotto con uve Aglianico e Piedirosso – prevede anche eventuali parti di Primitivo e di Barbera. I rosati sostituiscono l’Aglianico con il Sangiovese, mentre il bianco del Cilento è prevalentemente di varietà Fiano, conosciuta localmente come Santa Sofia, cui si aggiungono il Trebbiano, il Greco Bianco e la Malvasia Bianca.

Il fico bianco dei filosofi

A quaranta chilometri da Paestum sorge l’altra “cartolina dall’eternità” che rende straordinario il territorio del Cilento. Parliamo di Velia, Elea per i greci, gioiello archeologico del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. I resti di questa antica città – dominati dalla celebre Porta Rosa - si trovano nel territorio di Ascea Marina, e regalano l’emozione di camminare tra le strade in cui passeggiarono Parmenide, Zenone e Melisso. E non è difficile immaginare questi giganti del pensiero filosofare assaggiando uno dei fichi bianchi che qui trovano dimora fin dal IV secolo a.C. Oggi questo delizioso prodotto della terra e del lavoro degli uomini – celebre per la sua polpa pastosa, il colore giallo ambrato e la spiccata dolcezza - è tutelato dalla Dop del “Fico bianco del Cilento”. Il frutto, che deve la sua unicità all’azione mitigatrice del mare, alla barriera degli Appennini e alla fertilità del suolo - è prodotto in 68 comuni a sud di Salerno, dalle colline litoranee di Agropoli fino al Bussento, in gran parte inclusi nell’area del Parco.

Di Gianluca Miserendino

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