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e-borghi travel 44, Speciale panorami: Giro dell'Appennino Calabro-Lucano in ottanta tappe, più una

Il trionfo della biodiversità

Ci sono almeno sette buoni motivi per intraprendere il Cammino Basiliano, cioè quel percorso che, partendo da Rocca Imperiale e restando sul versante ionico dell’Appennino, attraversa da Nord a Sud la Calabria e parte della Basilicata, per giungere dopo 1.535 chilometri a Reggio Calabria. L’itinerario si inerpica per il Massiccio del Pollino, dove si concede qualche piacevole incursione lucana, e poi scende e sale sui monti di Sila, Serre e Aspromonte, regalando splendide vedute sul Mar Jonio. Il primo ottimo motivo, da cui poi discendono anche gli altri, sta nel trionfo della biodiversità. Raramente si incontra una tale miscela di elementi al contempo contrastanti e armoniosi tra loro, non solo dal punto di vista naturale e paesaggistico. Anche da quello artistico e socio-antropologico c’è una prodigiosa mescolanza tra le culture greca, araba, italica e normanna. Basti citare le comunità arbëreshë, minoranza etnolinguistica albanese, che mantiene usi, costumi e riti di origine greco-bizantina. Nel prosieguo saranno illustrati, uno per uno, gli altri buoni motivi per cui vale la pena regalarsi un pellegrinaggio basiliano.

Innovazioni che aiutano la scoperta di antichi patrimoni

L’ itinerario è quello di un Cammino d’Oriente in Occidente: monasteri, chiese e fortezze in stile orientale si alternano a grotte preistoriche, cascate e altre meraviglie naturali sorte in ere lontane; il percorso odierno nasce nel 2020, dopo oltre 15 anni di studio sul campo. Tutto è organizzato con cura: l’escursionista può percorrere le tappe insieme a delle guide locali (elenco dei nominativi disponibile sul sito), utilizzare i tracciati Gps scaricabili gratuitamente sul proprio navigatore, o farsi supportare dall’app con geolocalizzazione, con la quale seguire il percorso e consultare le schede descrittive; per ogni tappa sono segnalate possibilità di vitto e alloggio. È interessante notare che il Cammino Basiliano è in continua evoluzione, grazie all’appassionato lavoro dell’Associazione Cammino Basiliano® ETS, delle guide e della sua attuale Presidente, l’avvocato Matilde Sansalone, che ha partecipato al progetto sin dalle prime fasi e che sottolinea come «Ogni passo sui sentieri, ogni tappa, ogni panorama evoca questa straordinaria sintesi di culture e nature diverse in armonia, e così racconta l’originalità e il fascino del territorio». Attualmente il percorso consta di 81 tappe molte delle quali facilmente percorribili tutto l’anno a piedi o in mountain bike; le sette tappe “wild” e sono praticabili esclusivamente a piedi dai trekker più esperti e allenati: sono le tappe più impegnative e selvagge, ideali per chi cerca percorsi poco battuti e un contatto più avventuroso con la natura.

Storia, miti ed espressioni di spiritualità

A orientare la progettazione di questo pellegrinaggio sono stati i remoti percorsi dei monaci basiliani, quelli cioè che si ispiravano alla regola del Padre della Chiesa d’Oriente, San Basilio. La forte nota spirituale emerge lungo tutto l’itinerario, mettendo in contatto il viandante con i custodi di opere sacre uniche e dal valore inestimabile. Per fare qualche esempio: San Demetrio Corone è nota per il passaggio di Nilo da Rossano, al quale è dedicato l’omonimo Eremo: il Santo nel 955 qui fondò un monastero, l’abbazia di Sant’Adriano; poco distante una stradina conduce alla Grotta dove il monaco visse in preghiera. A Rossano, invece, è conservato il Codex Purpureus Rossanensis, uno dei più arcaici evangeliari del mondo, mentre nel santuario di Petilia Policastro è serbata la Sacra Spina. Notevoli sono anche le vestigia che solleticano gli appassionati di archeologia, basti citare i Giganti di pietra dell’Incavallicata. L’Elefante e il Colosso sono evocative rocce ciclopiche probabilmente risalenti al Trecento avanti Cristo. Si trovano a Campana, borgo che deve il suo nome alla grossa campana normanna, che allertava in caso di assalti saraceni.

Perle del tratto lucano: il Conservatorio Etnobotanico

Le soste inaugurate più recentemente sono quelle che sconfinano piacevolmente in Basilicata, per condurre sul Pollino lucano. In questo tratto il viaggiatore non può mancare la tappa a Castelluccio Superiore, comune di settecento anime affacciato sulla Valle del Mercure-Lao, dove ha sede il Conservatorio di Etnobotanica. Questo centro di ricerca è il primo in Europa. Dotato di erbario, xiloteca, spermoteca, gemmoteca, aule e laboratori è completamente dedicato allo studio della botanica applicata e alla ricerca delle piante in relazione con l’uomo. Più avanti, lungo il Cammino, anche a Sersale è possibile visitare un’altra sede del Centro, con un bosco-giardino etnobotanico di circa otto ettari. Finalità del Conservatorio sono la divulgazione scientifica, ma anche la tutela e valorizzazione dell’ambiente e la preservazione delle specie autoctone mediterranee. Qui la botanica incontra l’antropologia, per indagare come la flora abbia influenzato l’uomo e il visitatore apprende curiosità sull’uso delle piante nell’alimentazione, nella colorazione dei tessuti, in medicina e nei riti religiosi arcaici; a dirigere il Conservatorio è l’etnobotanico Carmine Lupia, tra i fondatori ed ex presidente del Cammino.

Il pino loricato, simbolo del Parco del Pollino

Tra le numerose piante che il viaggiatore sensibile al fascino della natura considera un privilegio poter vedere almeno una volta c’è senz’altro il pino loricato, inestimabile patrimonio locale. Nel tratto che il Cammino percorre in Basilicata vivono, infatti, gli unici esemplari italiani di questo albero ultracentenario, il più antico e longevo d’Europa. La pregiata conifera dal poderoso fusto di colore tipico grigio-argenteo, che ricorda la pelle di un grosso pachiderma, è l’emblema del Pollino: una rarità che dà lustro all’intero percorso. Definito affettuosamente “fossile vivente” o “dinosauro degli alberi”, cresce solo qui e nella penisola balcanica, in terreni calcarei tra gli ottocento e i 2mila metri, dimostrando una tenacia e una caparbietà senza pari. Esso deve il suo nome alla spessa corteccia, che sembra divisa in placche rugose che evocano la lorica, ossia la corazza a scaglie di cuoio o metallo, che proteggeva i soldati Romani.

Gli altri eccezionali tesori delle riserve naturali

Ancora in tema di patrimonio naturalistico, l’ambiente qui condivide generosamente i suoi averi più preziosi. Lungo il Cammino, oltre al pino loricato, il visitatore incontra gli arditi corsi d’acqua del Pollino, come quelli della Riserva Naturale Gole del Raganello, un lungo canyon che giunge fino a Civita. A far da cornice lungo il percorso sono faggio, gelso, castagno, cerro e acero. Procedendo attraverso le rigogliose foreste della Sila, gli escursionisti più esperti possono spingersi fino al Lago Ampollino e alla Riserva Naturale Biogenetica del Monte Gariglione. Poco dopo Catanzaro, si scende ancora a Sud e, attraversando la Serra calabra, si guadagna la punta dello Stivale, per virare poi verso l’Aspromonte, scosceso e impervio. Arrivati a Pentedattilo, sormontata da una grossa formazione rocciosa a forma di mano, dalla quale proviene il suo nome di origine greca, l’ambiente si addolcisce, popolato com’è da uliveti. Lungo il tragitto che porta a concludere l’itinerario a Reggio Calabria e al borgo medievale di Gerace, si gode di una vista meravigliosa sull’Etna e sullo stretto di Messina.

La ciofeca, specialità insolita da assaporare

La generosità di queste terre si manifesta anche attraverso una cucina ricca, varia e gioiosa, con tante tipicità capaci di stupire. Tra le sorprese più curiose il podio va alla ciofeca. Per i più, complice una celebre battuta di Totò in “Totò, Peppino e i fuorilegge”, ciofeca è sinonimo di schifezza. Ebbene, niente di più sbagliato: si tratta infatti di un infuso ricco di polifenoli, dalle origini molto antiche, che per alcuni sarebbe addirittura l’antenato del caffè. Il suo nome deriva dall’arabo safek, ed è una bevanda leggera, che si ricavava dalle ghiande tostate e polverizzate. I frutti della quercia, che nell’ambiente contadino sono oggi considerate buone solo per i maiali, dal Medioevo e fino al secolo scorso erano ingrediente dal quale si otteneva una farina di uso alimentare. E la ciofeca era una bevanda comune, preparata un po’ come oggi si fa con il caffè, che si consumava anche tutti i giorni. Non manchi dunque il viandante curioso di suggellare il suo cammino assaggiando la deliziosa ciofeca, prodotto della tradizione che stava scomparendo e ora viene riscoperto.

di Barbara Roncarolo

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