Meridiane, orologi solari, clessidre: ogni epoca – fin dall’antichità – ha avuto i propri strumenti per la misurazione del tempo; al Museo Egizio di Torino, per esempio, sono esposti tre curiosi reperti: i resti di due segnatempo antichissimi (risalenti circa all’Epoca Tarda e a quella Tolemaica, ovvero tra il 746 e il 330 a.C.), ovvero due specie di meridiane ante litteram che segnavano le ore attraverso la lunghezza dell’ombra che una sorta di gnomone lasciava su un piano graduato; e una clessidra ad acqua che, lasciando uscire il liquido da un foro posto lateralmente sul fondo, segnava le ore tramite una serie di tacche incise sulla sua superficie interna. Non solo: alla misurazione del tempo sono dedicati anche altri due musei interessanti: il Moa – Museo dell’Orologeria Antica, in Valsesia, dove fare un viaggio tra i segnatempo di tutte le fogge e le epoche, e il Museo dell’Orologio da Torre “G. Bergallo” in provincia di Savona, dedicato a ingranaggi, lancette e quadranti delle macchine del tempo costruite dagli artigiani della famiglia Bergallo per le torri pubbliche – sacre e profane –, quando avere un orologio non era alla portata di tutti. Facciamo allora un giro della Penisola alla ricerca di antichi segnatempo che hanno ancora una storia da raccontare.
Iniziamo il nostro viaggio in Lazio, ad Alatri per l’esattezza, in provincia di Frosinone. Qui, sulla facciata dello storico palazzo Conti-Gentili, si trova una scenografica quanto complessa meridiana ottocentesca – una curiosità: l’orologio solare pare sia stato inventato dagli Egizi, tanto che nella Valle dei Re una decina di anni fa ne è stata ritrovata una risalente al 1500 a.C. – delineata per l’esattezza nel 1867 da un ingegnere sui calcoli astronomici fatti da un padre gesuita. La peculiarità di questa meridiana è quella di segnare due orari differenti: quello “locale” di Alatri e quello “ufficiale” dell’Osservatorio del Collegio Romano. Ma le sorprese che riserva la “Città dei Ciclopi “ – così è anche nota Alatri, grazie alla ben conservata Acropoli megalitica della Civita – non si esauriscono con la meridiana: i suoi vicoli medievali sono infatti ricchi di chiese di rara fattura, di palazzi nobiliari e di sfiziose osterie, dove assaggiare i piatti tipici della tradizione ciociara, dalla minestra di cicoria alla polenta ciociara, dai “tartalicchi” a base di patate alle crespelle con baccalà, cavoli o mele.
Quando si tratta di gastronomia, “La Dotta” ha pochi rivali: se infatti la sua posizione nel cuore dell’Emilia le consente di attingere a piene mani dalla tradizione di tutte le città vicine e di offrire nei menu dei suoi ristoranti infinite tipologie di paste ripiene – tortellini, cappelletti, anolini, ravioli, tortelli, cappellacci –, Bologna vanta la ricetta originale del ragù di carne, ingrediente principe di lasagne, cannelloni e primi piatti in genere. Ma la città vanta anche un altro record: nella basilica di San Petronio è custodita la meridiana più lunga al mondo. Se il primo orologio solare – per la verità alquanto impreciso a causa di un errore di calcolo – risale al 1576, l’attuale è stato creato nel 1653 dal grande astronomo Gian Domenico Cassini dopo che i lavori di allungamento della navata centrale della basilica resero l’originale del tutto inservibile. Affascinanti i lavori di calcolo per delineare esattamente la meridiana e il foro che permette alla luce di entrare – su una delle arcate della navata di sinistra – e anche le operazioni di restauro settecentesche, anticipate da calcoli di precisione per ridelineare con esattezza il “punto verticale”, spostatosi nel tempo a causa di cedimento materiali.
E se Bologna vanta la meridiana più lunga, a Sesto Pusteria, in Alto Adige, si può ammirare quella in pietra più grande del mondo. L’orologio solare in questione è infatti formato da cinque delle cime più coreografiche delle Dolomiti – la Nove, Dieci, Undici, Dodici e Uno – con un’altezza che varia dai 2.582 metri di altitudine ai 3.094. Interessante è anche il suo funzionamento: c’è infatti una precisa corrispondenza tra le ore del giorno e le cime illuminate di volta in volta dal sole; non solo: nel punto “invernale”, ovvero dove il sole proietta l’ombra di una delle cime il giorno del solstizio d’inverno, sono stati trovati antichi insediamenti, che farebbero pensare a un luogo di culto o comunque abitato già decine di secoli fa. E lasciate le cime, è fondamentale un’incursione nella gastronomia locale, che mixa sapientemente la tradizione italiana e quella tirolese, portando in tavola i golosi canederli ma anche il baccalà alla trentina, i ravioli della Val Pusteria a base di crauti, il profumatissimo strudel e l’irresistibile Pandolce di Bolzano, a base di fichi, datteri, uvetta, pinoli e scorza d’arancia.
di Simona PK Daviddi